Diamanti Grezzi

Il film di Adam Sandler sulla vita di un gioielliere e giocatore d'azzardo ambientato a New York

I fratelli Josh e Ben Safdie s'immergono con il loro cinema adrenalinico nella tragedia di un uomo ridicolo e raccontano con spietato senso del grottesco una New York spaventosa, nascosta dietro le facciate dei grattacieli e famelica di denaro.

Howard Ratner è un gioielliere che gestisce un negozio nel Diamond District di Manhattan. Incallito giocatore d’azzardo, marito e padre di famiglia con villa nei sobborghi, adultero con l’amante in città, Howard vive perennemente braccato dai debitori, in particolare dal cognato affiliato alla mafia italoamericana. Maneggione e bugiardo, ripone le sue speranze in un opale proveniente dall’Etiopia: ma qualche giorno prima dell’asta che dovrebbe fruttargli una somma milionaria, si fa convincere dal giocatore di basket Kevin Garnett, venuto in visita al suo negozio, a scambiare la pietra con un anello, dando così inizio a una serie infinita di traffici che segneranno il suo destino.

I fratelli Josh e Ben Safdie s’immergono con il loro cinema adrenalinico nella tragedia di un uomo ridicolo e raccontano con spietato senso del grottesco una New York spaventosa, nascosta dietro le facciate dei grattacieli e famelica di denaro.

C’è qualcosa che ricorda i personaggi di Ernest Hemingway nel Howard Ratner di Uncut Gems: un’estasi che nasce dall’umiliazione, una compassione che emerge oltre la riprovazione morale, una dimensione eroica riconosciuta a chi fa di tutto – pur sbagliando tutto – per sopravvivere agli altri e a se stesso, ai propri vizi e alle proprie tentazioni.

Howard Ratner è come Francis Macomber, la sua è una vita altrettanto breve ma a suo modo felice. E Adam Sandler che gli presta il suo fisico inappropriato e nervoso, con una protesi di denti sporgenti e un’origine ebraica ingombrante (negli obblighi familiari, nel retaggio di una tradizione di commercianti), un interprete perfetto. A quanti vent’anni da Ubriaco d’amore, i fratelli Safdie hanno finalmente riscoperto il volto disperato dal comico americano, la fragilità del suo sorriso, l’incoscienza dei suoi azzardi, la stupidità dei suoi ragionamenti.

Braccato dalla macchina da presa del direttore della fotografia Darius Khondji, filmato in campo lungo dentro una città caotica, Sandler si muove tra le strade, le auto, gli uffici, le case di New York come un re del sottobosco metropolitano, eccessivo, pasticcione e incosciente. Come sempre nel cinema dei Safdie (qui ancora affiancati alla sceneggiatura da Ronald Bronstein), al realismo estremo dello stile si affianca un elemento grottesco e quasi comico, qui evidente in certe situazioni (il rapimento di Howard, la sequenza dell’asta) e nel rapporto fra Howard e il mondo di vip con cui entra in contatto, guardando con referenze il cestista Kevin Garnett o il rapper Weeknd (entrambi nella parte di sé stessi) ma anche sfidandoli dall’alto (o dal basso) della sua sfacciataggine.

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